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La Ouadreria Correr

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Academic year: 2021

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M I C H E L A N Q E L O M U R A R O

Q uadr eria Correr

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I n qu esto q u a d ern o son o ra ccolte le o sserv a zion i critich e gia esposte in una lezion e tenuta a l M u s e o C o r r e r p e r in ca rico d e l C o m u n e d i

V e n e z ia .

S i e cercato d i in d iv id u a r e i l carattere d i o g n i opera, tenendo conto d e lle c r itic h e p iii recenti.

I n u m eri fr a p a ren tesi ( d a l l ’ i a l m ) si r ife r isc o n o a lia p resen te sistem a zion e d e l M u se o

-P e r p iü d iffu s e n otizie s u lle opere cítate si rim a n d a a lia rassegna ■ b ib lio g rá fica a lleg a ta a l C a ta lo g o u ffic ia le

-I n copertina e rip rod otto un d iseg n o in e d ito , conservato n elle R a c ­ colte C o r r e r c h e rappresenta il R itro v a m en to d i M o s e : va stu d ia to n el-

1’ á m b ito d i P a o lo V e r o n e se .

“ I I g ioco d e ll’ a q u ilo n e „ d i F r a n c esc o G u a r d i rip rod otto a p agin a 10 , ¿ gia stato p u b b lic a to d a RP a llu c c h in i i I d iseg n i d e l G u a r d i a l A Iu -

seo C o r r e r , V e n e z ia 1 9 4 8 , P aS- 1 0

'>-I '>-I M u s e o C o r r e r un tem po aveva sed e a l F o n d a c o d ei T u r c h i, e raccoglieva qu an to i l p a trizio F e o d o r o C o r r e r n e l i8 3o aveva la scia to a lia cittd d i V e n e zia . N e l 19 ^ 6 le opere settecen tesch e son o State radu- nate nella M o s tr a P erm a n en te d i C a R ezzo n ico

-L a R a cco lta N u m is m á tic a , i D is e g n i e le In c isio n i sono v isib ili presso la ^Biblioteca d e l M u s e o , p a rticola rm en te ricca p e r la sto r ia d e ll arte veneziana ; a l M u s e o d i M a r a ñ o son o esp osti i vetri a n tich i.

I n a lcu ne sale d e lle P r o c u r a tie N u o v e ha sed e a n ch e il M u s e o d e l R iso rg im en to .

R in g r a zio G iu sep p e F io c c o , L u ig i C o le tti e la D ir e z io n e d e l M u s e o C o r r e r p e r i co n sig li e le p r e c is a z io n i fo r n ite .

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SALA PRIMA

PRIMITIVI VENEZIANI

Gesú che consegna le chiavi a San Pietro (i) è un’opera di Lorenzo Veneziano (1356-79), legato ancora alie primiti­

ve simmetrie, ma che addolcisce la crudezza di Paolo e il­ lumina con l’intonazione rossa che gli è particolare. Appena negli Angelí monocromati del trono si intravvede un baglio- re della riforma giottesca.

I Laterali del Polittico di Grisolera (2- 3) presentano Paolo Veneziano (1300-1362) nella sua asprezza e monu- mentalità. II bizantinismo dei musaici marciani approda ad una interpretazione quasi barbárica nella figura del San Gio­ vanni, vero capolavoro del massimo esponente della pittura veneziana nel Trecento.

La ricamata Madonna (4) di Stefano da Sant’Agnese ( 1369-1385) è ancora nell’orbita di Lorenzo, ma senza aver capito il suo plasticismo, che è l’elemento rinnovatore fonda­ mentale.

La formula di Lorenzo Veneziano è ancora valida per i tardi autori degli otto Santi allineati sulla párete vicina. L ’ aspetto degli ultimi quattro, la grandiosità e la disinvolta positura, segnalano un chiaro rapporto coi modi toscani del­ la prima Rinascenza.

A Giovanni da Bologna (1377...) è assegnato un fram- mento di Pohttico (9) che per le tntonazioni da miniatura e il cangiantismo, si rivela del tutto lontano dalla pittura ve- neta.

II San Cnstoforo (10) con lo spintoso motivo degli a- nimali nell’acqua è della scuola di Lorenzo, mentre il San

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Giovanni e il Sant’Andrea ( i i , 12) non si staccano dalle leggi precise dei musaicisti bizantini.

In questa sala è esposto il ritratto scultoreo del Doge Ve- nier (13), dallo Gnudi attribuito a Jacobello dalle Masegne (1383-1409). Più che l’astrazione stilistica, è il segno incisi­ vo e la cruda nervosità che fanno di quest’opera uno dei più alti raggiungimenti della scultura del Nord.

SALA SECONDA

M A D O N N E R 1 E B IZ A N T IN I

La ta vola con l’immagine di San Pietro (14) mi pare del tutto svincolata dalle formule orientali, mentre il San Spiri- dione (17) è un’opera firmata di Emanuele Zane, particolar- mente viva negli elementi paesaggistici delle piccole storie, per esempio in quella di Sant’Agostino.

Anche se continua antichi motivi iconografía', l’Adora- zione dei Magi (18) qui esposta è un’opera tarda. Non mi pare abbia particolari qualità, come del resto la tavola (x6)

di quella specie di Doganiere che è Giovanni Permeniate. Dove 1’ arte dei Madonneri s’ avvicina al capolavoro è nella Crocifissione con vari Santi (15). Le gamme dei rossi si snodano in sottili dissonanze con l’oro del fondo e con le variazioni di verde a venature bianche. Come creature di vetro, questi personaggi si allineano senza aggressività, in un susseguirsi di trasparenze che ci testimoniano l’astratta spiritualità di una altissima cultura.

SALA TERZA

P IT T U R E D EL PR IM O Q U A T T R O C E N T O

Jacobello del Fiore (1400 ...) con una Madonna (19) sor- retta da elegante cartiglio, impreziosita dalla sua veste az- zurra, cosí raccolta in mezzo all’oro del fondo, ci dà un

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esempio di quella pittura Gótica Internazionale che ebbe il impulso mtorno a Gentile da Fabriano.

Se il padovano Guariento (1338-1368) è l’autore di que- sto malconcio Arcangelo (20), ha una conferma la tesi del Coletti che lo considera un provinciale ritardatario. (Non sono da dimenticare pero certe sue invenzioni plastiche come la Madonna proveniente dalla Reggia dei Carraresi, fonda­ mentale per comprendere l’opera di Michele Giambono.)

Con quale difficoltà sia penetrata nel Veneto la nuova parola che Giotto al principio del secolo aveva predicato dalla Cappella padovana degli Scrovegni, è evidente nelle opere qui esposte di Leonardo Boldrini (32, 33), di Gio­ vanni di Francia (21), dell’ anónimo seguace di Jacobello (27), e nella Crocifissione (37) che per la sua scarsa indivi- duahta ha suscitato le piu disparate attribuzioni.

La. ricostruzione del Polittico (22-26) di Giusto de’ Me- nabuoi (1320-1397) ci permette di ammirare la profonda, astratta e nitida personalita di questo autore « di una sotti- gliezza raffmata, rna di una perspicacia visionaria ancora ro­ mánica» (Pallucchini). Padova, dopo la morte di Giotto, aveva raccolto Altichiero, Avanzo e il florentino Menabuoi: per questi nomi, nella seconda meta del ’ 300, questa città è il fulcro più vivo dell’arte italiana.

Michele Giambono (1420-1462) è l’autore di quella Ma­ donna del Cardellino (34) che il Fiocco gli ha rivendicato nel 1920. Più che sulla raffinatezza e sul "decorativismo, in- sisterei sull’eccezionale senso plástico e sulla veritá che que­ sta pittura rivela: non la vedo collegata a Gentile da Fa­ briano, ma all’arte di qualche scultore e all’aspetto più vivo del padovano Guariento.

A Francesco dei Franceschi (1443-1468) vengono attri- buite le Storie di San Mamante (35, 36) che rívefano un’in- terpretazione bonaria del Rinascimento toscano, appena sal- vata da qualche vıvacıta pısanelhana e dall’innato senso del colore.

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Basta confrontare le due tavolette dei Santi Ermacora e Fortunato (30-31) con i prodotti delle correnti contempora- nee veneziane, per compréndeme la diversa civiltá e i pro- fondi rapporti che le mettono in relazione con Parte avigno- nese. Raffinatissime sfumature coloristiche, gusto delle vestí rabescate, composizione grandiosa ma priva di qualunque pe- santezza, incisivitá quasi fiamminga nella rappresentazione del reale: il Simone Martin! del Museo Nazionale di Napoli non é lontano da questi piccoli capolavori che Roberto Lon- ghi ha collocato nell’ambito senese.

Solo Verona in quel tempo radunava intorno a Pisanello Pultimo seme di una civilta che poi si é perduta. Gii Angelí Musicanti (28) di Stefano da Zevio (1375-1438) rivelano appena il valore di questa grande scuola gótica.

SALA QUARTA

B A R T O L O M E O V IV A R IN I

La Madonna (41) del Legato Favenza é rinnovata nel fondo e assordata da vecchi restauri. Di fronte vi é un ca- polavoro di Bartolomeo Vivarini (1432-1499). La Vergine (42) in veste amaranto é ancora nell’aura del Mantegna. Le mani incise, nervose e sensibili, ricordano quelle di Giorgio Schiavone. II muranese, conquistato dalla nuova cultura, non dimentica il selvaggio gusto per il colore.

I due frontali di cassone (38, 39) ripetono un’antica sto- ria d’amore. Feste, viaggi, avventure fino al banchetto nu- ziale dove gli sposi del dolce stil novo risplendono nell’oro del fondo, come un’annunciazione profana. Non é veneta e neppure pisanelliana questa pittura. I riquadri di architet- tura che ricordano le tarsie, le torri sul fondo abbagliante come nei paesaggi delP Angélico, P eleganza della piü alta pittura gótica, i musi bulinati dei cavalli costruiti alia Pao- lo Uccello, Pastratta geométrica distribuzione di alcuni

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ele-mentí e la preziositá dei colorí, fanno collocare queste mal consérvate pitture in un ambiente di raffinatissima civiltá.

La Madonna firmata dal Basaiti (43), l’unica pittura cer­ ta (44) di Pasqualino da Venezia (1496-1504), il paliotto d’al- tare (40) che Bernardo e Caterino scolpirono e dipinsero con tanta pazicnza, non sono opere che suscitino un particolare interesse.

SALA QUINTA

L A Z Z A R O B A S T IA N I E V IT T O R E C A R P A C C IO II ritratto del Doge Francesco Foscari (45), giá attribui- to a Gentile Bellini ora é esposto come opera di Lazzaro Ba- stiani (1499-1512) che anche nelle opere allineate in quesea párete (46-50), risulta un pittore stentato e opaco, dai contor- ni induriti e dalle espressioni assonnate. E’ un ritardatario che quando volgarizza i modi di Jacopo e di Vittore C ar­ paccio, acquista una cert’aria metafísica. I lineamenti del Doge hanno una vigilata misura, una decisione di segno e una trasparenza di colore da non far dimenticare il Mante­ gna.

II ritratto di Ferrante d’Avalos (52), raffinate ed esan- gue come un principe francese, o sensuale come una creatu- ra leonardesca dalle trasparenze di alabastro, é invece attri- buito al forlivese Marco Palmezzano (1460-1539), autore del tedescheggiante Portacroce sulla párete di fronte (51).

Sebastiano Zuccato, padre dei musaicisti di San Marco e primo maestro del Vecellio, ha lasciato in questo San Se­ bastiano Púnica sua opera firmata. II largo cielo, la quinta del paesaggio a destra, il taglio, il volto, le mani del gentil- uomo che prega, fanno fermare la nostra attenzione su que­ sto discontinuo, ma acuto pittore, che proviene dall’ambien- te melozzesco, memore dei fiamminghi e dei toscani, come risulta anche da un disegno preparatorio dell’Albertina.

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Marco Basaiti (1500-1530) si muove fra Bellini e Gior­ gione, ma intende la luce ai modo proprio degli altri schia- voni: un lume di lampada arde dentro le carni addolcite. Ma per apprezzare questo pittore é meglio pensare ai quadri dell’Accademia, non a questo offuscato San Gerolamo den­ tro un forzato paesaggio (54).

Di Giovanni Mansueti (1485-1527) é il San Martino a cavallo (55) che traduce la tarda invenzione carpaccesca, nello stile pesante e nel colore annerito che gli é solito.

Che dire della Circoneisione (56) di Marco Marziale (1489-1507) che rinnega Giovanni Bellini per miniare alia tedesca stoffe e tapped, con ricami di smalto, che hanno la freddezza della tela cerata?

A Vittore Carpaccio (1486-1525) e dedicara un’ intera párete (57-61). Le Cortigiane trionfano in un’atmosfera in­ sólitamente incantata e inumana, tutta percorsa da trasfigu-

rate geometrie. Piü che un quadro di genere, é una creazione di pura fantasia, priva del consueto racconto, ma rigorosa­ mente conclusa nei suoi astratti elementi. Negli uitimi anni la produzione di Vittore Carpaccio non ha piu ragione di esistere; basta guardare gli steieotipi San ti che sono qui espo- sti, del 1514. Nella Visitazione che proviene dalla soppres- sa Scuola degli Albanesi, le brutte immagini di primo piano sono goffamente inserite in un paesaggio ancora ricco di ele- ganti animali e di preziosi colorí. Trovo che la ridipinta Pietá moho opportunamente porti il nome di Vittore Car­ paccio, anche se appartiene a un momento particolarmente volumétrico del Maestro. Basta guardare i capelli o la veste dell’angelo in rosa (quasi annuncio dei colorí di Paolo) per approvare questa attribuzione.

Ad Andrea Briosco, detto Riccio (1470-1432) viene asse- gnato il busto in bronzo (62) dalla caratteristica acconcia- tura. Per giustificare la povertá plástica di questo ritratto, si pensó ad un calco, come proverebbero la inanimate pie- ghe della veste.

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SALA SESTA

I BELLIN I

Con la Sala Sesta entriamo nel mondo dei Bellini. Jaco- po (1400-71) nelle allungate figure della Crocifissione (63), si veste con molta fatica dei modi toscani. La Madonna di provenienza Frizzoni (66), sará da studiare dopo che un op- portuno restauro avrá ripristinato il fondo, e tolte certe fis- sitá e aggiunte ottocentesche.

L ’insegnamento del Mantegna é evidente nel Cristo in croce (65) di Giambellino, splendido per l’incantato paesag- gio, dove il coro degli angeli, rivelato da un recente restau­ ro del Pellicioli, pur aumentando il frammentismo per cui forse il Longhi mise in dubbio l’attribuzione, sottolinea il vibrare degli elementi luminosi, che mi pare diano l’accento piü nuovo di questa pittura.

Capolavoro giovanile del Bellini é la Trasfigurazione (64): alte sulla montagna queste creature annunciano il mon­ do nuovo. Mai l’arte veneta toccherá la crudezza e la pro- fonditá di questa visione impietrita.

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SALA S ETTİ M A

A N T O N E L L O E M AESTRI BELLIN I A N I

Dello stesso periodo, senza concessioni e addolcimenti, é la gélida Pietâ (67): Cristo morto e gli Angioli disperati so- no balaustre contorte su un paesaggio abbandonato.

Bartolomeo Montagna (1430-1523) é ben rappresentato nella Madonna Favenza (68) con quelle sue carni bruñe, il crudo plasticismo e il canto sobrio dei dichiarati colorí.

Pietro Duia continua nel ’ 500 le invenzioni belliniane in questa Madonna firmata (69) che ha una monumentalita non sorretta da intimo vigore.

La lezione del Bellini é evidente anche nella Circoncisio- ne di Vincenzo dalle Destre (71) per il quale Giorgione da Castelfranco era stato invano. Jacopo da Valenza, con pe- santezza parí a quella di Lazzaro Bastiani, in questa ottusa Madonna (70), rivela al solito, la sua ascendenza vivarinesca.

L’artificio di Francesco da Santa Croce (1516...) questa volta si traveste da Mabuse in una Madonna graziosa e su- perficiale (72). 11 quadro vicino é di Pietro da Messina: ra- rissimo esempíare e noiosa conoscenza (73).

II busto in marmo di Cario Zen ci presenta 1’arte di Gio­ vanni Dalmata (1440-1509) nel momento di passaggio dai

modi toscani al gusto veneto. Secondo il Mariacher si tratta piuttosto di opera lombardesca.

La Pietâ di Antonelío (1430-1479) é il piii importante quadro del Museo Correr (74). L’invenzione delle ali che ta- gliano il cielo immobile, la visione di acque, alberi, case, limpide come in Piero della Francesca e amate come in Gior­ gione, il corpo del Cristo individuato come in Caravaggio, il valore dichiarato di ogni elemento, il fascino di quel volto sfasciato, la composizione che dall’incrocio di cubi nei primi piani, sale attraverso il moltiplicarsi del paesaggio, fino al vi­ brare delle ali taglienti nel cielo aperto, sono incomparabili elementi che fanno di questo quadro uno dei piii alti

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verti-ci della pittura. Le gambe nude sono interprétate con Pardo- re rinascimentale che Antonio Rizzo trasmetteva al marmo di Eva in Palazzo Ducale.

Alvise Vivarini (1445-1503), scolaro di Antonello e suo fedele imitatore in una serie di suggestivi ritratti, é Pautore dello squisito Sant’Antonio che per dimensioni, conservazio- ne, spiritualitá, cornice, armonía, é umversalmente gradito. II colore verdino del libro, la grazia e la trasparenza delle mani, il gracile peso di quel giglio fiorito, sono tocchi di sot- tile poesía.

D i fronte vi é il Ritratto di Umanista (76) gia attribuito ad Ansuino da Forli, ad Antonio da Crevalcore, a Baldassa- re d’Este, a Francesco Benaglio, a Francesco del Cossa, a V i- cino da Ferrara. Anche se le iniziali dell’autore sono leggibi- lissime, e il nome del ritrattato e il suo stemma siano eviden- ti, non é ancora stata fatta luce su questa pittura, che é cer- tamente uscita dall’ambiente ferrarese.

SALA OTT A V A

CO SM E’ T U R A E L O R E N Z O L O T T O

La Madonna con S. Pietro Martire (84) è assegnata dal Berenson al bellimano Pietro degli Ingannati, attivo fino al 1548, aiuto del Bissolo e del Palma; la chiarità, le masse lar- ghe e sfumate ricordano da vicino i paesaggi di Marco Ba- saiti.

Di Boccaccio Boccaccino (1467-1530) ci sono al Correr due inconfondibili e perfetti esemplari (82-83): occhi rotondi e addolciti, amore per le Stoffe incastonate di smalti preziosi, carnagioni tornite e una generale e poco intelligente félicita. Il metallico suono dei suoi violenti colori tradisce l’educa- zione emiliana, ehe non gli permette di entrare nello spirito della pittura veneta.

Nel 1916 Giuseppe Fiocco rivendicô a Lorenzo Lotto

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(1480-1566) la Madonna (79) precedentemente attribuita a Gerolamo da Santa Croce. I ricami della veste, le aureole, il drappo e quegli angioletti che reggono il diadema sono ar- caici e di una tale povertá d’invenzione da far pensare che il Lotto abbia accettato di ripetere una preesistente Madon­ na di questo tipo.

La Sacra Conversazione (81) che gli é vicina, pur con­ servando un fare belliniano, é opera di un ritardatario della scuola del Palma che ha giá visto cantare il colore di Ti- ziano.

E’ di Lorenzo Lotto il meraviglioso Ritratto (80) giá at- tribuito a scuola ferrarese? II giovane dal berretto rosso e da- gli occhi crudeli ci guarda con la sconvolgente fermezza del cardinale Rossi, esposto nel Museo di Napoli. La bocea e il profilo sono tagliati con Pincisivitá pura di Melozzo; ma il colore canta piu metallico che in Vittore Carpaccio. I pae- saggio mi sembra cincischiato, forse aggiunto, ed e probabile che questo sia un frammento di pittura che solo il nome del Lotto, proposto dal Coletti, acqueta pienamente.

Venezia e fortunata nel possedere oltre alia Madonna del- l’Accademia, un’altra opera di Cosme Tura (1430-1495), in questa tormentata Pietá (78). Anche la montagna dei Cro- cefissi obbedisce al genio, che le imprime una vorticosa spi- rale. « Quelle creature minerali non avrebbero potuto abita­ re un mondo che non fosse tagliato nel cristallo. Forme di cose pietrificate, conforte nello sforzo d’articolarsi ». (Beren- son)

SALA NONA

P IT T U R E F IA M M IN G H E E SC U O LE DEL N O R D Questa saletta e interamente dedicata ai fiamminghi e al­ le scuole del Nord. La Madonna col Bambino (85) di Thierv Bouts (1420-75) gia esposta alla Mostra d’Arte Fiamminga

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del 1947 a Firenze, é uno dei piü beiii esempi di quella pit- tura; con grande coerenza di forme si muove in un susse- guirsi di rinsecchite angolositá. II rosso del manco si oppo- ne al drappo del fondo, verde bruciato. II pallido incarnato e le rigonfie forme del bambino ci trasmettono una sensazio- ne poco gradita, come un piccolo anímale nudo.

Pare che Corrado W itz (1400-1447) sia stato fondamen- tale per lo sviluppo del primo Antonello: qui vediamo una Santa Barbara a lui attribuita (95) che e particolarmente fe­ lice nel brano di paesaggio, nelle mani che sorreggono il li­ bro e nella minuta descrizione del prezioso copricapo. A Scuola Tedesca del secolo X V é assegnata la tavoletta che rappresenta la discesa del Salvatore al Limbo (92). Perché non pensare a Gerolamo Bosch, con la sua scombinata fan-* tasia da grillo? 1 filamenti luminosi come gocce incandescen- ti, e l’invenzione ossessiva che moltiplica i particolari e i mostri sul fondo in fiamme, ricordano molte opere di que­ seo autore.

A l Civetta (1480-1550) é assegnata la cavóla con le Ten- tazioni di S. Antonio (94). I prototipi del Bosch sono ripe- tuti con alquanta pesantezza da questo ritardatario che, fe- dele all’ispirazione della sua razza, nei corpi nudi delle oda- lische, si incontra con certe figurazioni eccitanti di cultura indiana. Le tavolette con l’Annunciazione (93) sono opere di un Maestro Fiammingo che sente il fascino delle statue im- mobili sui loro piedistalli, nel silenzio delle cattedrali deserte. Come prototipo di questa poesía ricordo una Madonna at­ tribuita a Jean Provost nel Museo Cívico di Cremona.

La Salita al Calvario (91) é assegnata al Meistcr des Fiau- sbuches e la sigla di Martin Shongauer é apócrifa, come qua- si tutte quelle della raccolta Correr. Piü che l’incomposta fol­ la e gli stonati colorí, c’interessano le fisionomie voígari e la forza caratterizzatrice di questo acre maestro.

L ’addolcita Madonna fiamminga del X V I secolo (90) é immersa in un lago di verde come quella di Bernaert van

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Orley (1485-1542) della Pinacoteca Ambrosiana; il prototi­ po animalesco del bambino nudo ha perduto la forza e l’a- sprezza primitiva perche con il Romanismo, una nuova cul­ tura si e innestata nel ceppo originale dell’Arte Fiamminga.

II Tritrico di Scuola Austríaca del secolo X V I rivela mol- teplici ascendenze, ma é privo di qualunque poesía. Per il maggior plasticismo, il gusto degli azzurri e l’intonazione verdina dell insieme, la piccola Madonna (88) bruciacchiata, mi sembra piu legata all’Orley che a Thiery Bouts. Un au­ tentico capolavoro é il Ritratto (87) assegnato a Barthel Bruyn (14 9 3 “ 1 5 5 3) : l’arabesco della cintura risuona in tutta la composizione che ripete il motivo dei nastri e il contrap- porsi manieristico di bianchi e di neri, incisi contro il fondo immobile; senza plástica e senza espressione, fredda -come il teschio accarezzato dalla mano vitrea, questa creatura eser- cita il fascino di un fantasma che un cervello lucido fino al­ ia pazzia ha creato per disperazione e diletto. A proposito della Crocifissione (86) di Ugo van der Goes (1467-1482) trascrivo le parole del Pallucchini: «Originale e altamente fantástica e 1 illuminazione lívida della scena e profondamen- te umano il suo contenuto morale. II tipo del Cristo qui ar- ticolato con una sorpredente potenza espressiva, é stretta- mente legato a quello di van Eyck (Museo di Berlino) ».

SALA DECIMA

GIU SEPPE H E IN T Z

Giuseppe Heintz (1600-1678) dipinse questi tre pannel- li (96-98) di feste veneziane forse ricordando gli antichi rac- conti del Carpaccio e dei Bellini. E’ vicino il tempo in cui il il paesaggio a Venezia sta per rinascere, specialmente per

opera del Carlevaris. Lo Heintz é uno dei tanti che giun- gono sulle lagune conservando lo stile di casa propria. Anche se e cattiva pittura, questa é una delle voci fondamentali per

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comprendere certi sviluppi di colore nel paesaggio venero del Settecento. Lo stridere dei rossi e degli azzurri, la materia levigata e la preferenza per certi soggetti, sono elementi che assieme ad un nervosismo squisitamente Rococó, la provin­ cia Tirolese e Vienna trasmetteranno alia nostra pittura set- tecentesca.

Sulla párete di fronte vi é una interpretazione quattro- centesca padovana del classico Cavaspina, esposto al Museo Capitolino.

SALA UNDICESIMA

RITRATTI

II Ritratto presentato come opera di Scuola Veneta (99) é da studiare nell’ambito della pittura bresciana. L ’eleganza quasi correggesca del taglio, l’intensita di quel volto grifa- gno e un poco selvaggio, l’epidermide levigata e lucente ver­ so la quale affiore il rosso del sangue, il sobrio colore e la nórdica precorritrice passione per il ñero, non dovrebbero lasciar dubbi sul paese d’origine. Viene da proporre il nome di Gerolamo Savoldo, per questo memorabile ritratto. A¡ Leandro Bassano (1557-1622) sono assegnati due dipinti di scarsissimo valore: il conte Pasqualigo (too) e Popera del tin- torettesco vicentino Gerolamo Forni; e il S. Gerolamo Mia- ni (102) é una sgonfiata pittura sul fare del Leandro meno interessante. A ll’Accademia é esposto un piccolo ritratto, scattante e incisivo che consolera chi vuol conoscere Leandro Bassano.

Al velasqueziano Martínez dal Mazo (1612-1667) e at- tribuito il ritratto dell’Infanta Margherita (101); la sfarfal­ lante fantasía delle vestí rosse, il lívido delle carm e l’atten- zione pregoyesca che descrive la congenita ottusita, fanno prezioso questo ritratto, importante per comprendere i

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porti del Velasquez con il padovano Forabosco. Bernardo Stiozzi (1635-1716) appare più che mai aggressivo e violen­ to in questo smargiasso Cardinale (103) che è ancora molto Ion taño da ogni venezianitá.

Stupendi esemplari di Alessandro Vittoria (1525-1608) sono i ritratti di Francesco Duodo e di Tommaso Rangone. Mentre il Fiocco ebbe a dire per la Madonna Farsetti che « sembra un Giovanni Bellini traslato in scultura », questi personaggi traducono le invenzioni di Paolo e del Tintoretto m un arte che, superando l’elemento monumentale sansovi- nesco, e forse ^ aiutata dalla duttilità della creta, arriva ad un alto esempio di plasticismo pittorico.

Il ritratto in terracotta è un prezioso esempio della scul­ tura secentesca veneziana. L’autore è forse quell’Antonio Gai ( + 1688) che a San Francesco della Vigna modellô i vivad ritratti di Niccolo e Alvise Scopeda.

SALA DODICESIMA

A L E S SA N D R O LO N G FÍI E A N T O N I O C A N O V A Fra i rari esempi di pittura che si conoscono di Antonio Canova (1757-1822) c’é questo ritratto di Amedeo Svaier (109). E un opera incompleta che pero da in pieno la mi- sura del genio pittorico dell’artista, e ci fa constatare che ra­ ramente in opere di scultura il Canova arrivb a simile al- tezza. Se poi volessimo ricordare e confrontare altre pitture del neoclasicismo, ci accorgeremmo che questo le supera tut- te. Qui si persegue una gran via che non ha precedenti ita- liam, ma si collega direttamente con la civiltá di colore che e propria della scuola inglese delPultimo ’700.

• ^ 4^essa.nc^ro Longhi (1733-1813) sono attribuiti due ritratti di Carlo Goldoni (104-n o ): uno dei quali, legato an­ cora ai modi del padre, é attento a rendere veristicamente

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gli oggetti nella loro realtà. Sono opere modeste, lontane dal capolavoro che è per esempio il ritratto Da Muía: prodotti di un’epoca, piü che di una personality.

Anche sulla Figura Orientale (105) di moda rembrand- tiana attribuita a G. B. Tiepolo ci sarebbe da fare qualche riserva. Un modesto pittore come Pier Antonio Novelli (1728 -1804) ci offre, in vece, con questo S. Marco un’interessante pagina di storia, che collega la pittura lagunare con la civil- tá che chiameremo Viennese, dai caratteristici azzurri e rossi, le neo-classicistiche dolcezze prebatoniane e le fumositá rem- brandtiane, fondamentali per la valutazione di tutto il Set- tecento.

SALA TREDICESIMA

F R A N C E S C O G U A R D I

II quadro raffigurante il Pescatore che presenta l’anello al Doge ( n i ) é esposto dubitativamente come opera di Fran­ cesco Guardi (1712-1793). 11 dipinto iconográficamente e una ripetizione del París Bordone delle Gallerie. Non siamo ancora moho avanti nel Settecento e Popera e certamente da collocarsi nell’ambito veneziano, anche se l’intonazione lí­ vida delle architetture e del cielo, il tono rossastro piü che argentino e i tipi del fondo richiamino alia memoria noti per- sonaggi di G. M. Crespi. Non mi risulta che lo Spagnolo ab- bia dipinto con questa sfrangiata scioltezza che quasi rag- giunge l’incorporeitá di Bazzani. Ma forse anche il nome di Francesco Guardi non é piü valido. II pescatorello in pri­ mo piano con l’occhio spiovente, il grazioso profilo e la ca- miciola a striature preziose; le vestí dei nobili veneziani, tut- te percorse da brividi di luce, l’accendersi a sprazzi di mac- chie chiare, e una certa rapidita di pennellata, hanno fatto accettare l’assegnazione al Guardi. Quello che manca di Francesco é la luce e la materia porosa, sottile come ali di

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f arfalla (Fiocco). Parlare del fratello Isicolo, non credo sia il caso, anche se esiste un disegno a lui attribuito che ripro- duce la stessa scena. Certamente si tratta di un’importante personalitá di questi paraggi; uno di quei pittori uscito dal íembrandtismo alia Castiglione, e non immemori della suc­ rosa pittura ene la scuola bolognese andava insegnando a tut- ta Italia.

SALA QUA TTORDICESIMA

IN SE G N E V E N E Z IA N E DEL S E T T E C E N T O Di Francesco Guardi veramente é l’Insegna dell’Arte dei Coronen (116), esposta nell’ultima sala, insieme ad alcune opere piu scadenti che servivano alio stesso scopo.

Anche se impostata con rapiditá e meccanicismo da arti- giano, appare la straordinaria leggerezza di ogni elemento. Guardi trascura la resa plástica per raggiungere quella sua sbiciolata continuitá e per toccare almeno in un punto, ver­ tid di poesia che giustificano il suo nome.

(21)

I N D I C E D E I N O M I

ANSUINO DA FORLF

pag. 11

ANTONELLO DA MESSINA

10

BARTHEL BRUYN

14

BASAITI MARCO

7, 8

BASSANO LEANDRO

15

BASTTANI LAZZARO

7

BELLINI GIOVANNI

9

BELLINI JACOPO

9

BERNAERT VAN ORLEY

13

BERNARDO

7

BOCCACCINO BOCCACCIO

n

BOLDRINI LEONARDO

5

BOSCH GEROLAMO

13

BOUTS THIERY

12

BRIOSCO ANDREA (Riccio)

8

CANOVA ANTONIO

16

CARPACCIO VITTORE

8

CATERINO

7

CIVETTA

13

DEGLI INGANNATI PIETRO

11

DUIA PIETRO

10

FRANCESCO DEI FRANCESCHÏ

5

FORNI GEROLAMO

15

GAI ANTONIO

16

GIOVANNI DALMATA

10

GIUSTO DE MENABUOI

5

GIOVANNI DI FRANCIA

5

GIAMBONO MICHELE

5

GUARDI FRANCESCO

17, 18

GUARIENTO

5

GIOVANNI DA BOLOGNA

3

HEINTZ GIUSEPPE

14

HAUSBUCHES MEISTER

pag. 13

JACOPO DA VALENZA

10

JACOBELLODEL FIORE

4

JACOBELLO DALLE MASEGNE

4

LONGHI ALESSANDRO

16

LOTTO LORENZO

11, 12

LORENZO VENEZIANO

3

MANSUETI GIOVANNI

8

MARZIALE MARCO

8

MONTAGNA BARTOLOMEO

10

MARTINEZ DAL MAZO

15

NOVELLI PIER ANTONIO

17

PIETRO DA MESSINA

10

PALMEZZANO MARCO

7

PASQUALINO VENEZIANO

7

PERMENIATE GIOVANNI

4

PAOLO VENEZIANO

3

STEFANO DA SANT’AGNESE

3

STEFANO DA ZEVIO

6

SAVOLDO GEROLAMO

15

SANTACROCE FRANCESCO

10

STROZZI BERNARDO

16

TIEPOLO GIAMBATTISTA

17

TURA COSME’

.12

VAN DER GOES UGO

14

VINCENZO DALLE DESTRE

10

VITTORIA ALESSANDRO

16

VIVARINI ALVISE

11

VIVARINI BARTOLOMEO

6

WITZ CORRADO

13

ZANE EMANUELE

4

ZUCCATO SEBASTIANO

7

(22)

F I N I T O D I

S U C C E S S O R I

S T A M P A R E I L 2 2 N O V E M B R E 1 9 4 8 P E N A D A S T A M P A T O R I S . p . A . - P A D O V A

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