Note sull'umanesimo
L ' E S E M P I O D I T U L L I O C I C E R O N E
Dr. S A M İ M S İ N A N O Ğ L U
doçente di filologia classica
La rivoluziône che ha nome da Atatürk segna per la Turchia una
svolta decisiva nel corso della- sua storia, anche e specialmente dal punto
di vista culturale. Sulle giovani generazioni della Repubblica incombe
il compito tanto oneroso quanto onorevole di procedere risolutamente
e con conoscenza di causa per la via indicata dal genio di un grande
sta-tista. Sarebbe grave ed imperdonabile errore ritenersi soddisfatti del
go-dimento delle possibilità materiali o dei ritrovati meccanici che 1'Europa
odierna ci offere, mentre un compito maggiore ci attende, compito che
consiste nell'assimilazione della cultura occidentale, cioè dei valori mo
rali che, creati nel corso dei secoli, sono oggi l'essenza della civiltâ
euro-pea. Se il popolo turco fosse un popolo rozzo ed incolto, privo di un
glo-rioso passato, ci riuscirebbe forse più facile l'imitazione e Tadattamento
al nuovo ambiente. Ma la realtà è différente, onde il problema va
impos-tato nel senso che noi turchi dobbiamo acquisire una conoscenza profonda
della cultura occidentale e avvalercene per ravvivare le attitudini
inge-nite, badando nello stesso tempo a non svalutare le tradizioni patrie degne
di essere conservate ; in altre parole, dobbiamo acquisire la forma mentis
dell'Occidente, attenendoci nei sentimenti e negli ideali ad un
fonda-mento in essenza nazionale.
Tralasciando ogni disquizione teorica sulle possibilità e sui mezzi
atti al conseguimento di tali fini, riteniamo sia opportuno esaminare anzi
tutto la realtà storica e particolarmente soffermarci sulla ricerca e sullo
studio delle relazioni e degli influssi culturali tra popoli di carattere e
struttura spirituali sostanzialmente diversi. Questa disamina potrà dare
un'idea tanto dei profitti previsti quanto della scelta della via da seguire
per tradurre in realtà la vasta concezione innovatrice di Kemal Atatürk.
Agli studiosi turchi di filologia clâssica incombe pertanto un compito
di non lieve momento, qual'è quello di contribuire alla chiarificazione
delle idee in proposito, indagando con particolare cura i rapporti cultu
rali tra Roma e Grecia e cercando di determinare le vie per le quali i Ro
mani seppero appropriarsi del pensiero e dell'arte- ellenica, senza per
questo perdere le loro caratteristiche nazionali, sviluppando anzi le doti
innate in misura e maniera tale da rendere possibile la creazione di opere
che nei secoli dell'Umanesimo e del Rinascimento furono oggetto di amo
roso e fecondissimo studio. Particolarmente interessanti per densità d'esempi
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e utilità di insegnamenti che se ne possono trarre sono i due secoli e mezzo di storia letterariä, che abbracciano i periodi dall'iniziazione di Livio An-dronico all'apogeo augusteo.
Volendo esaminare sotto questo aspetto la parte che ebbe Tullio Ci cerone nella storia della cultura di Roma e quindi del mondo occidentale, dobbiamo convenire che il merito dell'Arpinate - non certo la figura più originale dello spirito romano - risiede non tanto nelle sue facoltà crea-riciquantoin quelle di propagatore. Come ogni personalità degna di que sto nome, Tullio Cicerone nella sua lunga e spesso travagliata esistenza diede alla società romana più e meglio di quanto non ricevesse da essa. Ora, basta dare un'occhiata, anche rapida, alle diverse specie délie sue opere per renderci conto della dupplice essenza della sua anima romana (conservatrice) e greca (innovatrice) ad un tempo, caratteristica deriva-tagli dalla natia Arpino - attacata come ogni borgo che disti dal "centro"-e dagli anni giovanili trascorsi a Roma, com"centro"-e anch"centro"-e dalla dupplic"centro"-e "centro"- educa-zione greco-romana. Onde non ci meravigliamo che l'autore di poemi alessandrineggianti come il Glaucus e l'Alcyon sia nel medesimo tempo anche l'autore del Marius o del De consulatu suo, poemetti diversi, se non per valore artistico, certo per spirito ed inclinazione. Ed è anche da osservare che l'Arpinate tanto nell'una che nell'altra via è figlio del secolo suo; e non riusci o perché non erano maturi i tempi, o perché gli manca-rono l'ispirazione ed il respiro necessario per il raggiungimento del successo che invece arriderà ai sommi del periodo augusteo. La mancata riuscita di Cicerone in questi campi va ricercata in una ragione più profonda : la macata fusione dell'elemento greco con l'elemento romano.
Dove invece riusci l'Arpinate, greco per cultura e romano per senti-menti, fu nei campi dell'eloquenza e della filosofia anche se in quest'ul-timo nonfu uno spirito originale, cosa che del resto egli non intendeva poi es-sere. Volle e fu il sommo oratore di Roma, come della Grecia era Demostene né la sfera del suo influsso rimase limitata entro i confini della storia e del a letteratura romana. La sua personalità, cosi imoportante per la storia della cultura occidentale, sboccio dal concorso delle innate sue facoltà e dei sentimenti patriottici con Parte oratoria greca, di cui egli seppe impa-dronirsi grazie alla sua vasta cultura umanistica. Si è dunque avverato quel-lo che egli stesso aveva detto: Ego multos homines excellenti animo ac virtute fuisse sine doctrina et naturae ipsius habitu prope divino per se ipsos et gravis
exti-tisse jateor; etiam illudadiungo, saepius ad laudem atque virtutem naturam sine doc trina quam sine natura valuisse doctrinam. Atque idem ego hoc contendo, cum ad naturam eximiam et illustrem accesserit ratio quaedam conformatioque doctrinae, tum illud nescio quid praeclarum ac singulare solere exsistere (pro Arch. 15). Difatti Tullio Cicerone, giovandosi di una cultura straniera divenne - com'ebbe a dire Cesare (Brut. 253)-princeps copiae atque inventor bene de nomine ac dig-nitate populi Romani meritus riusci nel campo dell'eloquenza a strappare